Da emiliana, nata circondata da immensi campi di pomodori, che tra luglio ed agosto si colorano magicamente di rosso, che vive ad un passo da Parma, riconosciuta come culla dell’industria del pomodoro del Settentrione, non potevo non sentirmi chiamata in causa nella Giornata Nazionale della Passata di pomodoro, celebrata oggi dal Calendario del Cibo Italiano, con il bellissimo articolo dell’ambasciatrice Candida De Amicis del blog mmm…buonissimo!.
Quando si parla del pomodoro, è pensiero comune associarlo al Sud d’Italia, a Napoli, alle coltivazioni campane, alla grande industria conserviera della Cirio, ai maccheroni e a Pulcinella. In realtà la cultura del pomodoro si sviluppò allo stesso tempo, e con la stessa forza, in due poli opposti, Napoli e Parma, ancora prima dell’unità d’Italia.
Nelle campagne del parmense, intorno alla metà dell’Ottocento, i contadini producevano dei pani di polpa di pomodoro essiccati al sole, chiamati “pani neri” per le miriadi di mosche che li ricoprivano. Sembra che i pomodori fossero molto graditi anche a Maria Luigia, Duchessa di Parma, che iniziò ad apprezzarli grazie alle squisite ricette del cuoco di Napoleone, Jean-Gabriel Leblanc, cui successe il cuoco Vincenzo Agnoletti, altro amante della conserva di pomodoro, allora realizzata in mattonelle essiccate o in vasi. Secondo alcune fonti, nel 1844, ne furono preparati ottanta vasi, corrispondenti a circa trecento chilogrammi, appositamente per Maria Luigia. La svolta ci fu grazie all’opera di un grande agronomo di Parma, Carlo Rognoni, e alla sua fattoria sperimentale, dove, a partire dal 1865, coltivò varie specie di pomodori, promosse tecniche innovative di lavorazione e conservazione, e ne favorì la diffusione in tutto il territorio. Nel 1905, dopo l’importazione dalla Francia di apparecchiature specifiche per la conservazione del concentrato sotto vuoto, l’industria parmense acquisì un vero primato in Europa. Quando, da Parma, l’industria iniziò a dilatarsi alla vicina Piacenza, le due province, entrambe dotate di moderne attrezzature, ottennero l’indiscusso primato mondiale del “concentrato” di pomodoro. Contemporaneamente nel Meridione, la grande industria creata dal torinese Francesco Cirio, si specializzò nella produzione dei “pelati”. Ancora oggi Parma continua ad esportare in mezzo mondo il suo “oro rosso”, e la relativa tecnologia, e può vantare la più importante fiera alimentare italiana.
La passata (o salsa) di pomodoro, è senza dubbio una delle conserve più amate e preparate in tutte le famiglie italiane. Ognuna ha la sua tradizione, il suo metodo, e la sua ricetta tramandata di generazione in generazione. Perché, in ogni famiglia italiana che si rispetti, non deve mai mancare una scorta di bottiglie di passata nella dispensa. La salsa di pomodoro è infatti un’elemento fondamentale della nostra cucina, base indispensabile per innumerevoli sughi, da quello classico al basilico per condire la pasta, al più complesso ragù di carne.
Il pomodoro, del tutto marginale nella nostra alimentazione fino a metà del Cinquecento, poiché visto con sospetto e da alcuni ritenuto addirittura malsano, arrivò in Europa al seguito dei conquistatori spagnoli del Nuovo Mondo. Compare per la prima volta in un ricettario sotto forma di una salsa di pomodoro “alla spagnola”, realizzata con cipolle, sale, olio e aceto, documentata dal cuoco marchigiano Antonio Latini nella sua opera monumentale “Lo scalco alla moderna“, pubblicata a Napoli tra 1692 e il 1694. Successivamente, nel 1891, la salsa di pomodoro viene codificata da Pellegrino Artusi, nella prima edizione de “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, l’opera che fece l’unità gastronomica dell’Italia. Qui Artusi distingue rigorosamente sugo da salsa: il primo di soli pomodori cotti senza grassi, con qualche odore, e passati al setaccio; la seconda con i medesimi ingredienti ma più abbondanti odori (aglio, cipolla, sedano, basilico, prezzemolo, olio, sale e pepe) fatti cuocere lungamente fino a rendere la salsa densa, passata poi al setaccio.
Ed infine vi lascio la ricetta della mia passata di pomodoro, realizzata con dei dolcissimi pomodori datterini, coltivati con tanto amore nell’orto di Davide, un ragazzo davvero speciale, che ringrazio tanto per i buonissimi ortaggi che mi regala.
Passata di pomodori datterini
Ingredienti
- 2 Kg pomodori datterini
- q.b. olio extra vergine di oliva
- 10 foglie di basilico fresco
- q.b. sale (opzionale)
Istruzioni
- Lavate i pomodori, asciugateli, tagliateli a metà, e metteteli in una casseruola abbastanza capiente. Cuocete con il coperchio per circa 20 minuti, fino a quando saranno ben cotti. Lasciate riposare e aspettate che l’acqua prodotta dai pomodori venga a galla. Con un mestolo forato prelevate i pomodori dalla pentola e passateli nel passaverdure utilizzando il disco con i fori più piccoli, in modo da eliminare i semi e le bucce.
- Mettete sul fuoco una casseruola con un filo di olio extra vergine di oliva, aggiungete la passata di pomodori e fate restringere fino alla densità desiderata. Se lo desiderate regolate di sale.
- Riempite con la passata ancora bollente i vasetti di vetro precedentemente sterilizzati in forno a 120° per 15 minuti, nei quali avrete inserito sul fondo un paio di foglie di basilico lavate ed asciugate, avvitate per bene i tappi e capovolgete sotto sopra fino a completo raffreddamento.
- Rigirate i vasetti, controllate che si sia formato il sottovuoto premendo al centro dei tappi: premendo con il dito deve formarsi un avvallamento e non sentirsi più il classico click-clack.
- Conservate i vasetti di passata in un luogo buio e fresco, ricordandovi di riporli in frigorifero una volta aperti e di utilizzarli entro 2-3 giorni.
Fonti:
http://www.museidelcibo.it/pomodoro.asp