Il Grande Fiume è parte integrante della mia vita, un elemento imprescindibile del mio territorio. Sono nata e cresciuta a ridosso degli argini del Po, nei suoi pioppeti in golena ho fatto bellissime passeggiate, a piedi e a cavallo, sulle sue acque sono stata più volte in barca, sulle sue spiagge, durante la secca estiva, ho giocato con i miei figli, dietro le sue anse ho visto spegnersi mille tramonti, durante le piene ho ammirato con timore la forza impetuosa delle sue acque color fango. Tra la gente che abita in questi luoghi, ci sono molti pescatori appassionati, che conoscono il fiume come le proprie tasche e che, oggi come un tempo, vivono con la canna da pesca in mano. Esattamente come il mio nonno paterno, che ogni giorno tornava a casa con ceste piene di carpe, lucci, anguille, pescegatti e cefali. Ma questo succedeva quando ero bambina, perché, ormai da parecchi anni, questi pesci stanno scomparendo. Il Grande Fiume, che un tempo pulsava di vita, rappresentando una grande risorsa alimentare ed economica, per le popolazioni dei territori che attraversava, ora è un gigante gravemente ammalato. Per dare voce ad argomento per me così importante, che mi tocca veramente da vicino, non potevo di certo esimermi dal partecipare alla Giornata Nazionale del Pesce dimenticato, all’interno del bellissimo progetto del Calendario del Cibo Italiano, con ambasciatore il carissimo Juri Badalini di Acqua e Menta.
Quando si parla del Po e di pesci del passato, mi viene in mente subito lui, il più grande, il più leggendario, il più pregiato: lo Storione. In realtà esistono varie specie di Storione, ma quelle autoctone, presenti nel Mar Adriatico e nel bacino fluviale del Po, sono essenzialmente tre: lo Storione Comune (Acipenser sturio), lo Storione Cobice (Acipenser naccarii ) e lo Storione Ladano o Beluga (Huso huso). Tutte e tre le specie sono gravemente minacciate di estinzione nelle acque del nostro paese, e la loro presenza è attestata solo fino agli anni Settanta. In altri paesi, una delle cause di maggiore impatto sulla conservazione della specie è l’uccisione delle femmine, per l’estrazione delle uova (il famoso caviale), mentre in Italia sono gli sbarramenti artificiali delle centrali idroelettriche, che ne impediscono la risalita per l’accoppiamento, e il fenomeno dell’inquinamento, ad averne decretato l’estinzione. Lo Storione ha una riproduzione classificata come anadroma, in pratica vive per la maggior parte del tempo in acque salate e, tra aprile e fine giugno, si sposta in acque dolci risalendo il corso dei fiumi, verso i laghi prealpini, per riprodursi. Ama i fondali marini sabbiosi poco profondi, e i fiumi a grande portata e corrente lenta. Di notevoli dimensioni (può raggiungere la lunghezza di alcuni metri e l’età di 100 anni), ha livrea bruna o grigio-verdastra, con larghi scudi ossei e pinne con raggi. Nonostante la mole, si nutre principalmente di molluschi, vermi, crostacei e piccoli pesci. Lo Storione è un pesce dalle origini molto antiche, sembra infatti che alcuni ritrovamenti ne attestino la pesca e il consumo fin dall‘Età del Bronzo. Le sue carni pregiate, e le sue uova utilizzate per fare il caviale, erano particolarmente apprezzate nella cucina rinascimentale, e fino alla metà del Novecento, quando dalle barche dei poveri pescatori, finivano sulle tavole dei signori.
Dopo la Grande Guerra, pescare Storioni divenne un vero e proprio lavoro, un modo come un altro per garantire un sostentamento alla propria famiglia. Questo autentico pezzo di storia ci viene dipinto in maniera fedele da Michele Marziani, nel suo libro “Il caviale del Po“, dove si possono leggere, tra le altre, queste meravigliose testimonianze.
“Capoccia grossa! Capoccia grossa! Gridavano i ragazzi lungo l’argine del Po per avvisare della cattura del grande Storione, quel pesce capace di rimettere in sesto le finanze di famiglia, di dare una svolta alla vita, almeno per quella stagione. Si dice che negli anni trenta del Novecento ci sia stata gente che, con la cattura di più di uno storione, si sia addirittura comprata la motocicletta. In Emilia, in Lombardia, pescare storioni è, in quel tempo, un secondo lavoro, un pezzo in più di un’economia contadina e fluviale fatta di tanti piccoli tasselli. Nel Delta del Po no, nel ferrarese no, nel polesine no, lì pescare gli storioni è mestiere, seppur mestiere stagionale. Con l’arrivo dell’estate gli Storioni, risaliti lungo il Po in primavera, ritornano al mare e il fiume si svuota. O meglio resta il teatro dei pesci di sempre, quelli che non creano ricchezza, che non fanno sognare di notte. Eppure è lì, in villaggi golenali quasi tribali, con persone che solo la Grande Guerra e il servizio militare hanno portato al di là dell’argine maestro, che nasce il miracolo del caviale.”
Una leggenda narra che Leonardo da Vinci, nel lontano 1491, mentre camminava lungo la riva del Ticino a Pavia, vide nel fiume un maestoso Storione, ed ebbe l’idea di donare a Beatrice d’Este le preziose uova, piccole come perle, ma dal gusto tanto prelibato quanto raro. Si racconta che, durante il banchetto nuziale della Duchessa e di Ludovico il Moro, l’artista abbia offerto alla sposa il caviale di storione, racchiuso in un scrigno incastonato da pietre e gemme di valore, proprio come se si trattasse di un prezioso gioiello. Il caviale infatti, da molti ritenuto una specialità tipicamente russa, dove iniziò a diffondersi nel XVIII secolo, in realtà nacque in Italia. Era una delle specialità più ambite nelle corti rinascimentali, e già nel 1471 ne parlava Bartolomeo Sacchi detto il Plàtina, quando scriveva che “uova di storione condite, salate, prendono il nome di caviare”. La particolarità di questo prelibato caviale, che lo rendeva differente da tutti gli altri, era di essere cotto. Finito il Rinascimento, il caviale ferrarese tornò nell’ombra per molti secoli, fino a quando, nel 1930, aprì in città la rosticceria della “Nuta” (Benvenuta), signora di origini ebraiche, che aveva imparato i segreti della lavorazione dello storione, e del celebre caviale dal padre, che riforniva di delicatezze il ghetto. A quei tempi lo Storione Beluga era ancora abbondante nel Po, con esemplari di oltre 200 kg e con 25 kg di uova. Il caviale della Nuta veniva venduto anche in Svizzera ed era considerato superiore a quello del Mar Caspio. Il negozio, rilevato nel Dopoguerra, rimase aperto fino al 1972, ma nel frattempo il Beluga nel Po era scomparso. Fortunatamente, la ricetta è oggi mantenuta in vita da un allevamento trevigiano, chiamato “Gli storioni del Sile”. Anche Pellegrino Artusi, ne “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene“, ad introduzione della ricetta n. 480 dello Storione in fricandò, parla del caviale e dell’ittiocolla estratti dalle ovaie, e spiega della bontà di questo pesce straordinario, cucinato in tutte le maniere: lesso, in umido o in gratella. Ormai da diversi anni, per la gastronomia dobbiamo accontentarci di quello di allevamento, visto che la cattura e la detenzione dello Storione è severamente vietata su tutto il territorio nazionale. La Lombardia, con l’azienda Agroittica di Calvisano (BS), ha il primato europeo nell’allevamento di questo pesce. Le specie allevate però non sono quelle autoctone, ma lo storione del Danubio, lo storione bianco, e lo storione siberiano. Per ripristinare il loro habitat di riproduzione in natura sono necessari interventi idraulici specifici, che garantiscano la libera circolazione dei pesci dal Delta del Po fino ai grandi laghi prealpini. L’ostacolo maggiore, rappresentato dalla diga di Isola Serafini, in provincia di Piacenza, sta per essere rimosso. Infatti, grazie al progetto BeNatur LIFE finanziato dall’Unione Europea, si sta realizzando una imponente scala di risalita presso la centrale idroelettrica, la più importante mai costruita in Italia, che permetterà di ripristinare le rotte di migrazione della fauna ittica, per centinaia di chilometri dal mare Adriatico fino al Lago di Lugano. Questa scala di risalita, che entrerà in funzione nei primi mesi del 2017, apporterà un importante effetto positivo per numerose specie migratrici a rischio di estinzione, protette dall’UE, tra le quali anche il nostro antico Storione. Da un paio d’anni sembra che il Po abbia dato qualche cenno di ripresa. A prova di ciò, nel 2015, un esperto pescatore di Reggio Emilia, ha casualmente catturato uno Storione Cobice di circa 2 metri, con un peso di 80 chili, che, dopo la foto di rito per immortalare l’evento straordinario, è stato dolcemente rimesso nelle acque del Po.
Il 21 maggio di quest’anno, in occasione della Giornata Mondiale delle specie ittiche migratrici (World Fish Migration Day), sono stati liberati nell’area sud del Delta del Po, in provincia di Ravenna, numerosi esemplari di Storione Cobice e di anguilla europea, entrambi iscritti nella red list dell’International Union of Conservation of Nature (IUCN). Tutto questo grazie alla collaborazione dell’Università di Bologna, che ha avviato già da tempo ricerche e sperimentazioni volte alla riproduzione indotta e al ripopolamento. Questi sono segnali molto positivi per le specie ittiche, come testimonia anche il ritorno dell’alborella nel Po, che però non devono essere abbandonate nelle mani dei pescatori di frodo e dei bracconieri, che utilizzano mezzi illeciti come la corrente elettrica e le grosse reti da traino. Ai tempi dei nostri nonni lo Storione era uno dei padroni del Grande Fiume, ma ora le istituzioni devono impegnarsi su più fronti per recuperarlo e preservarlo. Non farlo significherebbe cancellare un tassello fondamentale della storia gastronomica del nostro paese, insieme ad un pesce leggendario presente sulla terra fin dalla preistoria.
Qualche mese fa, in primavera, ho preparato un brodetto di Storione (di allevamento) profumato con una semplice erba aromatica, la Santolina, e con l’aggiunta di alcuni prodotti della Valle del Po, come gli asparagi di Altedo ed i datterini gialli. La ricetta potete trovarla qui.
Fonti:
6 Comments
Anto
Bellissimo e interessante questo articolo!! Con tanti ricordi
d’infanzia che scaldano il cuore! Ho imparato e conosciuto
cose che non sapevo!! Da sempre il cibo ,la storia ,la cultura, si fondono insieme! Per questo non puo esserci ricetta senza storia e lavoro senza conoscenza e ricerca!
Brava perche non è semplice portare avanti tutto questo insieme! Un grande lavoro!
Un abbraccio Anto!
Afrodita
E’ da un pò che mi sto chiedendo se mi piaccia di più cucinare o studiare la storia del cibo e della gastronomia, ma ancora non ho trovato risposta! L’unica cosa che so è che c’è tanto, ma veramente tanto da studiare e da imparare. Grazie per saper apprezzare tutto questo lavoro. Ai più interessa solo la ricetta e stop, a me piace andare oltre. Un bacione!
JURI BADALINI
Grazie Susanna, finalmente ho trovato il tempo di leggermi tutto il tuo post con calma, gustandomi tutti i dettagli. Davvero approfondito, quasi da GN! grazie ancora
Afrodita
Grazie Juri, è stato un piacere dare il mio contributo su un argomento che avevo così a cuore!
Dario
Ho avuto dalla fine degli anni ’70 alla fine dei’90 una barca sul Ticino che usavo per la pesca dal ponte di barche di Bereguardo fino a quello della Becca in Po. Spesso in estate scendevo sul Po (una volta sono arrivato quasi a Venezia) sempre per pescare. Di storioni (qualcuno anche grosso) ne ho presi parecchi. Era una pesca di attesa, un po’ noiosa…però una volta agganciato era come tenere un trattore agricolo che ti trascinava su e giù per la corrente. Molti (quelli piccoli) li ho rilasciati con tutte le cure, qualcuno me lo sono mangiato (che resa in padella!).
L’ultimo (di circa un metro di lunghezza) preso nel Ticino, dopo una mezz’ora abbondante di lotta e poi rilasciato risale all’estate del 1988 (era uno storione comune), poi non ne ho più visto uno.
E’ un pesce circondato da mille leggende, eppure nel Ticino (e quindi in Po) in quegli anni erano abbastanza numerosi. Pochi si dedicavano specificatamente alla loro pesca, ma vi assicuro di averne visti (mi sono immerso centinaia di volte in Ticino) e presi parecchi.
Il più bel ricordo che ho di questo pesce da jurassik park, risale ad una domenica pomeriggio di fine ottobre, mentre scendevo la corrente del Ticino, in barca a motore spento e mi godevo il tramonto sul fiume. Ad un certo momento, mentre guardavo l’acqua a un metro da me che si tingeva dei colori del tramonto, uno storione di circa un metro abbondante è saltato fuori spanciando (a volte lo fanno) bagnadomi da capo a piedi.
E’ uno dei ricordi più belli delle mie avventure di pesca sul Ticino che mi porto dentro.
Afrodita
Buongiorno Dario, ti ringrazio tantissimo per aver condiviso questi tuoi ricordi in barca sui fiumi Po e Ticino. Dalle tue parole capisco la passione per il fiume e per la pesca. Grazie