Oggi sono praticamente sinonimi: magari hanno forme diverse o cambiano nel ripieno, ma i nomi sono di fatto intercambiabili. Parlo dei “tortelli” e dei “ravioli”. Ma in origine non era così.
Nel Medioevo, quando fu inventata la pasta ripiena, con la parola “Tortello” veniva indicato l’involucro di pasta esterno. Il termine derivava da “torta”, una specialità gastronomica dell’epoca, geniale invenzione per racchiudere, cuocere e trasportare il cibo dentro una crosta di pane poco lievitata, spesso dura ed immangiabile. In una civiltà che stava nel frattempo sviluppando la cultura della pasta, nacque in modo naturale l’idea di utilizzarla, dopo averla ritagliata in piccoli pezzi, per contenere ripieni ed ingredienti di vario genere. Raviolo, invece, veniva chiamato l’interno, il contenuto, la polpettina di carne, di formaggio o di verdure, o qualsiasi altra cosa potesse entrare nel tortello. Dunque il raviolo nasce nudo, senza involucro, solo successivamente si pensa di racchiuderlo nella sfoglia. A loro volta, i tortelli possono anche essere vuoti: uno dei più antichi ricettari italiani, nel XIV secolo, spiega che si possono fare di qualsiasi forma, a ferro di cavallo, a fibbia, ad anello, a forma di animale, e alla fine aggiunge “puoli empiere, se tu vuoli” (se vuoi, puoi riempirli). Ma non è detto che accada. Una cronaca medievale racconta che i cittadini di Parma, in un anno di grave penuria alimentare, non avevano nulla da mettere dentro le loro torte, ma continuavano ugualmente a prepararle, lasciandole appunto vuote. Lo stesso avrebbero potuto fare coi tortelli.
I ricettari italiani hanno a lungo conservato questa distinzione. Bartolomeo Scappi, nel Cinquecento, prevede ravioli “con spoglia” o “senza spoglia”. Nel Seicento, Giovanni Del Turco spiega come fare i ravioli “con il medesimo ripieno dei tortelli, ma senza spoglia”. Poi si arriva a Pellegrino Artusi che, alla fine dell’Ottocento, ci fa capire che la distinzione ormai non esiste più. Dopo aver dato la ricetta dei “ravioli all’uso di Romagna”, semplici gnocchetti di farina, ricotta, parmigiano e uova (dunque ravioli nel senso antico), passa ai “ravioli alla genovese” e commenta: “Questi, veramente, non si dovrebbero chiamar ravioli, perché i veri ravioli non si involgono nella sfoglia”. Intanto però li chiama ravioli. Con il passare del tempo è quindi andata persa una diversità, e due preparazioni distinte della gastronomia italiana hanno finito per sovrapporsi ed equivalersi.
Certo è che in Emilia si è sempre parlato di tortelli, e qui a Parma in modo particolare di tortelli d’erbette. Quando a Parma qualcuno dice “tortelli” nove volte su dieci intende quelli d’erbette, mentre basta attraversare il fiume Po ed entrare nella provincia di Mantova, per assistere al trionfano di quelli di zucca. Le misteriose “erbette” non sono altro che foglie di bietola senza costa, dette anche bietoline, di colore verde brillante, che un tempo crescevano spontanee nelle nostre campagne. I tortelli d’erbette erano, quindi, un piatto tipicamente estivo. Quando la cucina seguiva il ritmo delle stagioni, traendo il meglio dai prodotti della terra raccolti al momento giusto, giugno era il periodo migliore per prepararli: era tempo di mietitura e la farina, fatta con il grano raccolto da poco, era di alta qualità. Anche le uova, con cui si preparava la sfoglia, erano particolarmente fresche e abbondanti. Negli orti casalinghi e nei campi si raccoglievano le prime verdure, tra cui, appunto, le “erbette”, ed anche i caseifici ricominciavano la produzione di Parmigiano Reggiano, ricotta e burro.
Oggi i tortelli d’erbette si preparano e si gustano tutto l’anno, ma per tradizione erano i protagonisti assoluti della cena della vigilia della festa di San Giovanni Battista. Infatti la notte che precede il 23 giugno è la notte magica per eccellenza, quando si fondono insieme antichissime tradizioni popolari, e profondi significati esoterici e religiosi, per il fatto che la ricorrenza di San Giovanni è legata al solstizio d’estate, quando il sole raggiunge la sua massima declinazione positiva. San Giovanni è dunque la festa solare per eccellenza, la vittoria schiacciante della luce sulle tenebre, del bene sul male. In particolare, si credeva che la rugiada notturna che bagnava i campi la notte del solstizio, fosse capace di sconfiggere mali fisici e morali. Ancora oggi, in tutta la provincia di Parma, la vigilia di San Giovanni si preparano i tortelli d’erbette e, se possibile, si mangiano in lunghe tavolate all’aperto, aspettando la rugiada. E senza mai dimenticare il detto parmigiano, secondo il quale i tortelli debbano essere “foghé in t’al butéer e sughé in t’al formaj”, ossia affogati nel burro ed asciugati nel formaggio, con buona pace di dietologi e cardiologi.
La ricetta dei tortelli d’erbette cambia leggermente da un paese all’altro; la versione che ho scelto assomiglia molto a quella di Reggio Emilia, con una quantità maggiore di erbette o spinaci nel ripieno.
Tortelli d’erbette
Ingredienti
Per la sfoglia
- 300 g farina di grano tenero tipo 1 debole (W150)
- 300 g di semola rimacinata
- 6 uova
Per il ripieno
- 400 g erbette fresche (bietole senza costa)
- 500 g ricotta mista (vaccina e ovina)
- 250 g Parmigiano Reggiano grattugiato
- 2 uova
- q.b. noce moscata
- q.b. sale
Per condire
- q.b. burro
- q.b. Parmigiano Reggiano grattugiato
Istruzioni
- Setacciate le due farine, fate la fontana e rompete al centro le uova. Con una forchetta mescolate le uova e incorporando poca farina alla volta rubandola dai bordi formate un composto cremoso. Quando le uova avranno assorbito tutta la farina iniziate ad impastare con le mani, lavorando l’impasto con il palmo della mano nella direzione opposta alla vostra e ruotandola spesso, fino a renderlo omogeneo ed elastico.
- Avvolgete l’impasto nella pellicola trasparente e lasciatelo riposare a temperatura ambiente per almeno mezz’ora.
- Nel frattempo mondate e lavate le erbette eliminando la parte più dura dei gambi, spezzatele con le mani e mettetele in una casseruola ampia ancora bagnate. Salate, cuocete con il coperchio a fiamma medio bassa, fino a quando le erbette si saranno ammorbidite, quindi proseguite la cottura senza coperchio per far asciugare i liquidi in eccesso. Spegnete il fuoco, lasciate intiepidire, strizzate per eliminare l’acqua residua e tritate finemente con un coltello.
- In una terrina schiacciate la ricotta ben scolata con una forchetta, aggiungete le erbette tritate, il Parmigiano grattugiato, le uova e una generosa grattata di di noce moscata. Mescolate per amalgamare tutti gli ingredienti.
- Riprendete l’impasto, prelevatene una parte, lasciando il resto coperto dalla pellicola per non farlo seccare, appiattitela con le mani e passatela nell’apposita macchina per la sfoglia, partendo dalla tacca più grande per arrivare fino alla penultima. Appoggiate la sfoglia sulla spianatoia leggermente infarinata con la semola, disponete al centro dei mucchietti di ripieno pari circa ad una noce, equidistanti l’uno dall’altro. Piegate la sfoglia a metà su sé stessa e con le dita premete attorno ai mucchietti di ripieno per far uscire l’aria. Sigillate bene i bordi e con una rotella dentata eliminate la pasta in eccesso e ritagliate i tortelli.
- Disponete i tortelli su un vassoio coperto da un canovaccio pulito leggermente infarinato con la semola e copriteli con un secondo canovaccio per non farli seccare.
- Portate ad ebollizione una pentola d’acqua salta, immergete i tortelli delicatamente e lasciateli cuocere per circa 10 minuti, fino a quando la pasta risulta ben cotta (il tempo di cottura dipende dallo spessore della sfoglia).
- Scolate i tortelli con un mestolo forato, metteteli in una pirofila e conditeli a strati alternando burro fuso e abbondante Parmigiano Reggiano grattugiato
Fonti:
http://www.gazzettadiparma.it/news/parma/55327/Tortellata–un-antico-rito-tutto.html
Massimo Montanari, Il sugo della storia, Editori Laterza